Thursday 21 June 2012

La logica distorta dell'austerity

Dopo tre anni di fallimenti ancora non si vuole capire cosa è che non funziona nelle politiche economiche europee. Le elezioni greche ed il pacchetto di salvataggio per la Spagna non hanno cambiato nulla. Tagli alla spesa pubblica e pure aumento delle tasse, in Spagna è previsto anche l'aumento dell'IVA.
Il tutto accompagnato da una politica monetaria espansiva, sia con l'utilizzo di tassi di interesse molto bassi, sia con i quantitave easing, LTRO e varie immissioni di liquidità. L'idea è accompagnare una politica fiscale restrittiva che rimetta in ordine i conti pubblici con l'utilizzo della leva monetaria per favorire la ripresa economica attaverso il settore privato.
Ma sono le basi teoriche del ragionamento a non reggere. La recessione nasce nel settore privato con quella che Rirchard Koo ha chiamato balance sheet recession. Il settore privato fortemente indebitato prima della crisi, con la riduzione dei prezzi ha dovuto rimettere in ordine i conti e ridurre l'indebitamento. Il problema quindi non è (solo) il credit crunch e l'incapacità delle banche di prestare denaro. In realtà le banche si trovano davanti un settore privato che non vuole indebitarsi e con aspettative negative per il futuro, quindi senza incentivi ad investire. La teoria economica tradizionale sostiene che a tassi di interessi minori aumentino gli investimenti. Ma questa relazione non è sempre vera, basta guardare al Giappone dove tassi di interesse reali negativi non sono riusciti a stimolare gli investimenti. La stessa situazione si sta ripetendo in Europa.
Se la politica monetaria non ha effetti e non riesce a stimolare il settore privato, allora la politica fiscale restrittiva avrà effetti recessivi. Si diminuisce la spesa pubblica, si alzano le tasse sul consumo mentre la disoccupazione rimane alta e gli investimenti non crescono. Facendo così crollare il PIL.
L'unica soluzione è rilanciare una politica fiscale espansiva che in realtà si finanzia da sola. Le risorse messe nell'economia reale, attraverso il moltiplicatore, possono generare investimenti, consumo e crescita e dunque rientrare in forma di tassazione successivamente. Per farlo però occorre uscire dal paradigma neoliberista che richiede semplicemente una riduzione dell'intervento statale anche quando la crisi nasce nel settore privato. E' giunta l'ora di voltare pagina.

Wednesday 20 June 2012

Lavorare di più?

Il sottosegretario Polillo, silenzioso ormai da troppo, ha lanciato una nuova idea per risolvere i problemi dell'Italia. Visto che allungare l'età lavorativa non basta per far crescere il PIL, possiamo provare in altra maniera, tipo lavorare una settimana in più all'anno.
Che idea brillante! Lasciamo perdere cosa questo vorrebbe dire per la qualità della vita dei lavoratori e per il nostro sistema sociale. Rimaniamo ai crudi numeri. Se l'economia fosse in una situazione di piena occupazione, Polillo potrebbe avere qualche ragione - più lavoro equivale a più investimenti, più produzione, più crescita.
Purtroppo in piena occupazione non siamo. E come mai? Perchè non c'è lavoro, perchè non ci sono prospettive di investimento per gli imprenditori. Non solo non si assume, ma si ricorre in maniera massiccia alla cassa integrazione, cioè i lavoratori sotto contratto vengono fatti lavorare meno di quello che dovrebbero. Basterebbe non avere cassa integrazione per aumentare il PIL. Polillo potrebbe cominciare a parlare con Marchionne, tanto per fare un esempio.
E se pure non ci fosse la cassa integrazione si potrebbe cominciare ad assumere i disoccupati prima di costringere chi già lavora a lavorare di più. Anzi, sarebbe proprio opportuno ridurre i giorni lavorativi ed assumere chi non ha lavoro, dato che l'aumento degli impiegati porterebbe ad un aumento dei consumi che aiuterebbe la produzione.
Lavorare di più, in una economia immobile come quella italiana, significherebbe solo ridurre il numero degli occupati, altro che aumentare il PIL.
Si tratta di considerazioni piuttosto ovvie che non richiedono una approfondita conoscenza dell'economia. Il dubbio è nessuno abbia avvertito Polillo dei dati occupazionali del Paese. O forse è semplicemente un incapace. In ogni caso l'ennesimo tecnico che non sa di cosa parla. La differenza con i politici, se c'è, davvero non si vede.

Wednesday 13 June 2012

L'Italia di nuovo in ginocchio

E sei mesi dopo lo spread tornò quasi a 500 punti, quella soglia fatidica che fece cadere il governo Berlusconi. Capiamoci subito, non è certo colpa solo di Monti, come non era colpa del solo Berlusconi. L'Europa sembra essere governata da inetti ed incapaci che hanno creato la crisi e disseminato il panico per 3 anni. E non sto parlando dei greci. L'ultima pantomima sulle banche spagnole è morta nell'arco di un mattino. L'ennesimo salvataggio dell'Euro, nuovamente fuori tempo massimo e senza nessun piano che superi le 2-3 settimane, si è rivelato un flop. Per 3 anni non si sono riformate le banche ed ora queste sono di nuovo in crisi, nonostante tutta la liquidità fornita dalla BCE. Ed ora l'EFSF ha dato 100 milardi alla Spagna che li girerà alle sue banche che li useranno per comprare titoli del debito spagnolo. Come dare alcol ad un ubriaco cronico. I mercati hanno capito subito che si tratta di un cerotto rotto e non di un vero piano di salvataggio, e le borse, invece di salire, sono crollate.
Con il panico ai massimi livelli, l'attenzione della speculazione è tornata a concentrarsi sull'Italia. Situazione molto diversa da quella spagnola ma invece piuttosto simile a quella greca con un debito pubblico altissimo che lo Stato rischia di non essere in grado di servire. E qui veniamo alle colpe di Monti. La sua austerity ha riportato l'Italia in recessione. Il perchè lo si capisce subito vedendo il seguente grafico

http://www.economonitor.com/rebeccawilder/files/2012/06/gdp_italy.jpg
fonte: http://www.economonitor.com/rebeccawilder/2012/06/11/the-italian-economy-is-sliding/


Tutte le componenti del PIL sono in caduta libera rispetto al 2009, a parte le esportazioni che registrano comunque un rallentamento negli ultimi mesi. Nulla è stato fatto per la crescita, anzi con l'aumento delle tasse si è data una mazzata al consumo privato - e non sono ancora state pagate IMU e la nuova IVA. I frutti dell'austerity sono sotto gli occhi di tutti. Economia in affanno, debito che cresce, tassi di interesse alle stelle. Alla faccia delle riforme strutturali e della fiducia dei mercati.
In realtà quello che si sarebbe dovuto fare è incentivare investimenti e consumo. Nessuno dice che fosse facile, ma non ci si è neanche provato. La ricetta rimane sempre la stessa: patrimoniale pesante sui redditi più alti, magari unita a dismissioni mirate del patrimonio pubblico, ma non di quello produttivo (leggi Finmeccanica, ENI, ENEL). Usare questo contante per ridurre sostanzialmente il debito, possibilmente cercare di portarlo intorno al 100% ed usare le risorse liberate per ridurre il cuneo fiscale, così da diminuire il costo del lavoro e aumentare le buste paga. Ed invece quello che ci aspetta è un nuovo round di tasse sul reddito e sui consumi. E poi ci lamentiamo della sfiducia dei mercati.




Tuesday 12 June 2012

Quali riforme per la Pubblica Amministrazione?

La settimana scorsa si è nuovamente parlato di licenziamenti nel settore pubblico e di applicare anche alla PA la riforma del lavoro che abolisce l'articolo 18 per il resto dei lavoratori. Onestamente non si capisce perchè non dovrebbe essere così. Partendo dalla considerazione, più volte ripetuta su questo blog, che la riforma del mercato del lavoro non è solo inutile ma addirittura perniciosa, sarebbe comunque ridicolo che una sostanziale fetta di lavoratori godesse di un trattamento diverso rispetto agli altri.
Ma estendere la nuova regolamentazione al settore pubblico non può bastare, e sarebbe, come al solito, una finta riforma fatta in realtà con intenti punitivi. Il settore pubblico italiano, da almeno 30 anni a questa parte, è stato governato da un patto semi-criminale firmato da politica e sindacati. Un patto, per così dire, di stampo sovietico, "noi non vi paghiamo, voi non lavorate".
Ovviamente si tratta di una generalizzazione, ma illustra molto bene la situazione. Gli impiegati pubblici italiani sono tra i meno pagati d'Europa, con scatti di stipendio ancora legati all'anzianità ed un sistema di incentivi ridicolo. Gli stipendi bassissimi sono comepensati dalla sicurezza del posto di lavoro, sicurezza a prescindere.
E così ci troviamo in una situazione caratterizzata da assunzioni politiche più che economiche - basti pensare allo scandalo dei forestali calabresi - e produttività bassissima. Ed una organizzazione del lavoro a dir poco assurda. Pensiamo solo alle ore di attesa cui gli utenti sono costretti per essere serviti alla Motorizzazione mentre le Scuole Guida, che fanno quello per lavoro, hanno un accesso privilegiato. O al fatto che per ottenere 2 timbri da 2 diversi uffici del Tribunale l'utente deve portare personalmente il documento ad entrambi, visto che gli uffici tra loro non comunicano. Follia.
Tutto questo ha un costo enorme per l'economia, se solo pensiamo alle ore di lavoro gettate via in code, attese, etc etc. La PA deve entrare in una ottica diversa, quella del servizio al cliente, fornire incentivi ai propri lavoratori e soprattutto pagarli decentemente. Ma i dipendenti fannulloni e assenteisti, che sappiamo benissimo esistono, vanno puniti. Va protetto il lavoro ed il diritto al lavoro, non chi finge di lavorare.